Usiamo i cookie per garantirti la migliore esperienza sul nostro sito web. Navigando su questo sito dichiari di accettare le nostre Cookie Policy & Privacy Policy.
We use cookies to ensure you get the best experience on our website. By browsing this site you agree to our use of cookies Cookie Policy & Privacy Policy.

Contact Info

  English EN   Italiano IT  

CINEFORUM NOVEMBRE 2024

cineforum-novembre-2024

Schede Film


NATO IL QUATTRO LUGLIO di Oliver Stone 1989

di Riccardo Bernini

Nel panorama cinematografico che ha affrontato il tema della guerra del Vietnam, "Nato il Quattro Luglio" (1989) di Oliver Stone emerge come una delle opere più significative e laceranti, capace di scandagliare con straordinaria profondità il trauma post-bellico nelle sue molteplici sfaccettature. Basato sull'autobiografia di Ron Kovic, il film trascende la dimensione del semplice racconto biografico per diventare una potente riflessione sulla perdita dell'innocenza americana e sulle cicatrici indelebili che la guerra lascia nell'animo umano.

La magistrale interpretazione di Tom Cruise nei panni di Ron Kovic accompagna lo spettatore attraverso una dolorosa metamorfosi: da giovane idealista che abbraccia con entusiasmo i valori patriottici a veterano paralizzato che deve fare i conti non solo con le ferite fisiche, ma soprattutto con un profondo trauma psicologico. Stone costruisce questa trasformazione con una sensibilità cinematografica che non concede facili vie di fuga allo spettatore, costringendolo a confrontarsi con la cruda realtà della guerra e delle sue conseguenze.

Il trauma post-bellico viene esplorato attraverso un linguaggio cinematografico che ne riflette la complessità. Il regista adopera un montaggio frammentato che riflette la psiche frantumata del protagonista, mentre i flashback improvvisi irrompono nel presente proprio come i ricordi traumatici tormentano la mente dei veterani affetti da sindrome da stress post traumatico (PTSD). La fotografia gioca un ruolo fondamentale in questa narrazione, contrapponendo i colori vividi e saturi del passato alle tonalità spente e grigie del presente, mentre il sonoro dissonante amplifica il senso di disagio e alienazione.

La rappresentazione delle strutture ospedaliere per veterani e il difficile percorso di riabilitazione costituiscono alcuni dei momenti più intensi del film. Stone non risparmia allo spettatore la durezza di queste scene, trasformando la paralisi fisica del protagonista in una potente metafora della paralisi morale di una nazione intera. Il corpo mutilato di Kovic diventa così il simbolo tangibile di ferite più profonde, quelle invisibili che continuano a tormentare i sopravvissuti molto tempo dopo la fine del conflitto.

Particolarmente significativo è il modo in cui il film affronta il tema dell'isolamento sociale e familiare. Il ritorno a casa di Kovic non è il trionfante rientro dell'eroe, ma l'inizio di un doloroso processo di alienazione. La famiglia, gli amici, la comunità: tutti sembrano incapaci di comprendere veramente la profondità del suo trauma, creando un vuoto emotivo che il protagonista colmerà solo attraverso l'attivismo politico e la lotta per i diritti dei veterani.

L'evoluzione del personaggio da sostenitore della guerra a convinto pacifista non è presentata come un semplice cambio di opinione, ma come un complesso processo di elaborazione del trauma e riscoperta di sé. In questo senso, "Nato il Quattro Luglio" diventa anche una potente critica sociale e politica, mettendo in discussione il mito dell'eroismo bellico e la retorica patriottica che spinge giovani uomini verso il sacrificio.

La rilevanza del film non si è affievolita con il passare degli anni. Anzi, in un'epoca in cui il PTSD continua a essere un problema cruciale per i veterani di guerre più recenti, l'opera di Stone mantiene intatta la sua forza di denuncia e la sua capacità di stimolare una riflessione profonda sul rapporto tra trauma individuale e collettivo. La trasformazione di Kovic da vittima a attivista offre anche un messaggio di speranza, suggerendo come l'impegno sociale e politico possa diventare una via per l'elaborazione del trauma personale.

"Nato il Quattro Luglio" rimane così un'opera fondamentale non solo per la sua indiscutibile potenza cinematografica, ma anche per aver contribuito in modo significativo a cambiare la percezione pubblica del trauma post-bellico, trasformando una storia personale in una riflessione universale sulla guerra e sulle sue conseguenze psicologiche e sociali.


 

MOTHER (마더 - Madeo) di Bong Joon-ho 2009

di Riccardo Bernini

"Mother" di Bong Joon-ho si erge come una profonda meditazione sulla natura dell'amore materno e sui suoi abissi più oscuri, ponendo interrogativi essenziali sulla condizione umana e sui limiti morali che siamo disposti a varcare in nome dell'affetto incondizionato.

La narrazione si sviluppa come un'indagine non solo sulla verità di un crimine, ma sulla natura stessa della verità e della memoria. La protagonista, una madre il cui nome non viene mai rivelato - scelta che la eleva a figura archetipica - si muove in uno spazio liminale tra giustizia e vendetta, tra protezione e possessione, tra amore e ossessione. Questa ambiguità morale diventa lo specchio attraverso cui il regista esplora l'essenza stessa dell'identità materna: fino a che punto l'amore materno può definirsi tale prima di trasformarsi in una forma di violenza esistenziale?

Il film si interroga sulla natura della colpa e dell'innocenza, concetti che perdono la loro rigida dicotomia per diventare sfumature di una realtà più complessa. La disabilità del figlio viene presentata non come semplice condizione medica, ma come metafora della vulnerabilità umana di fronte a un sistema sociale che categorizza e marginalizza. La madre diventa così non solo protettrice ma anche vendicatrice, in una metamorfosi che solleva questioni fondamentali sulla giustizia e sulla sua relazione con l'amore.

La dimensione temporale del film si piega e si distorce, riflettendo la natura soggettiva della memoria e della verità. Il passato, il presente e il futuro si intrecciano in una danza che mette in discussione la linearità stessa dell'esperienza umana. La memoria diventa un territorio conteso, dove verità personali e collettive si scontrano, generando una riflessione sulla natura stessa della realtà e della sua percezione.

La cittadina di provincia dove si svolge la vicenda assume i contorni di un microcosmo filosofico, dove ogni personaggio rappresenta diverse sfaccettature della condizione umana: la madre come incarnazione dell'amore possessivo, il figlio come simbolo dell'innocenza corrotta, la vittima come specchio delle contraddizioni sociali. Il tessuto sociale stesso diventa un campo di battaglia dove si confrontano diverse concezioni di giustizia e moralità.

La regia di Bong costruisce un universo dove l'etica tradizionale viene messa in discussione, suggerendo che forse la vera natura dell'amore materno non risiede nella sua purezza, ma nella sua capacità di abbracciare anche gli aspetti più oscuri dell'esistenza. Il film diventa così una riflessione sul concetto stesso di sacrificio: quanto siamo disposti a sacrificare - non solo degli altri, ma di noi stessi - in nome dell'amore?

Il finale del film si presenta come un'aporia filosofica, dove la risoluzione del mistero non porta a una catarsi, ma a un ulteriore interrogativo sulla natura della felicità e della pace interiore. La danza finale della protagonista può essere letta come una metafora dell'eterno conflitto tra il desiderio di verità e il bisogno di oblio, tra la ricerca della giustizia e la necessità del perdono.

In ultima analisi, "Mother" si configura come un trattato cinematografico sulla natura dell'amore e della verità, sulla relatività della giustizia e sull'ambiguità morale intrinseca nella condizione umana. Il film suggerisce che forse la vera saggezza non risiede nelle risposte, ma nella capacità di vivere con le domande che la vita ci pone, accettando l'imperfezione e l'ambiguità come parti integranti dell'esperienza umana.

La pellicola trascende così il suo status di thriller psicologico per diventare una profonda riflessione ontologica sulla natura dell'essere e dell'amare, sulla responsabilità morale e sul prezzo che siamo disposti a pagare per proteggere ciò che consideriamo sacro. In questo senso, il film non offre risposte, ma invita a una contemplazione più profonda sulla natura stessa dell'esistenza umana e dei legami che la definiscono.


ADAM di Michael Uppendahl 2024

di Riccardo Bernini

"Adam" si configura come una profonda riflessione sulla natura transitoria dell'esistenza umana e sulla trasformazione dell'identità attraverso il trauma. Il film, incentrato sulla figura di un banchiere la cui vita viene drasticamente alterata da un incidente, si sviluppa come un'indagine esistenziale sulla natura del sé e sul significato della perdita.

La narrazione si costruisce attorno al tema della frammentazione dell'identità: l'Adam pre-incidente, sicuro di sé e definito dal suo ruolo sociale e professionale, si contrappone all'Adam post-trauma, costretto a riconsiderare ogni aspetto della propria esistenza. Questa dicotomia temporale diventa il terreno fertile per un'esplorazione della natura mutevole dell'identità personale e del ruolo che le circostanze esterne giocano nella sua definizione.

Il film affronta con particolare profondità il tema della vulnerabilità umana. La figura del banchiere, tradizionalmente associata al potere e al controllo, viene improvvisamente confrontata con la fragilità intrinseca della condizione umana. Questo rovesciamento esistenziale solleva interrogativi fondamentali sulla natura illusoria del controllo che crediamo di esercitare sulle nostre vite e sul ruolo del caso nel definire il nostro destino.

La regia di Uppendahl costruisce un universo visivo dove il tempo sembra piegarsi su se stesso, riflettendo la natura non lineare del processo di guarigione e riscoperta del sé. L'alternanza tra momenti di lucidità e confusione serve a sottolineare la natura frammentaria dell'esperienza post-traumatica, dove il confine tra passato e presente, tra memoria e realtà, diventa sempre più sfumato.

Il film esplora anche il tema della ridefinizione dei valori personali attraverso l'esperienza del trauma. L'incidente diventa un punto di rottura che costringe il protagonista a riconsiderare le priorità della sua vita, sollevando questioni fondamentali sul significato del successo, delle relazioni umane e della realizzazione personale. La trasformazione di Adam non è solo fisica ma profondamente spirituale e filosofica.

Un elemento particolarmente interessante è il modo in cui il film affronta il tema della memoria e della sua relazione con l'identità. I ricordi di Adam, sia quelli precedenti all'incidente che quelli successivi, diventano terreno di esplorazione per comprendere quanto della nostra identità sia definita dalle nostre esperienze passate e quanto invece dalla nostra capacità di adattarci e reinventarci di fronte alle avversità.

La dimensione relazionale assume un ruolo centrale nella narrazione. Le relazioni di Adam, sia professionali che personali, vengono sottoposte a una profonda revisione, portando alla luce questioni fondamentali sulla natura dell'autenticità nelle relazioni umane e sul ruolo che le circostanze esterne giocano nel definire i nostri legami affettivi.

Il film si confronta anche con il tema dell'accettazione e della resilienza. La lotta di Adam per trovare un nuovo equilibrio diventa una metafora della condizione umana di fronte all'inevitabilità del cambiamento e della perdita. La sua storia suggerisce che forse la vera forza non risiede nella capacità di evitare le cadute, ma nella capacità di rialzarsi e trovare un nuovo significato nell'esistenza.

La conclusione del film non offre risposte definitive, ma piuttosto apre spazi di riflessione sulla natura ciclica dell'esistenza umana e sulla possibilità di rinascita attraverso il trauma. La trasformazione di Adam suggerisce che forse la vera essenza dell'essere umano non risiede nella stabilità dell'identità, ma nella sua capacità di evolversi e adattarsi di fronte alle sfide della vita.

"Adam" si configura così come una profonda meditazione sulla resilienza umana e sulla natura trasformativa del trauma. Il film invita lo spettatore a confrontarsi con questioni fondamentali sulla natura dell'identità, sul significato della perdita e sulla possibilità di rinascita attraverso l'esperienza del dolore, offrendo uno sguardo profondo e toccante sulla complessità della condizione umana.

 

 




Information
EP
EP
EP
EP
EP
EP'
EP
EP
EP
EP
EP
EP
EP
q