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CINEFORUM NOVEMBRE 2022

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Schede film


DIETRO LA MASCHERA  di Peter Bogdanovich 1985

di Riccardo Bernini

Gli anni '80 sono stati un decennio molto crudele per Peter Bogdanovich. Un tempo acclamato come uno dei più grandi cineasti americani e l'icona della New Hollywood, è stato protagonista di tragedie personali ed un tracollo finanziario. Uno dei rari punti luminosi in quel periodo buio è stato “Oltre la maschera”, film biografico, girato nel 1985, che non solo è stato acclamato dalla critica, ma si è anche rivelato un successo al botteghino.

Il film è basato su una storia vera. All'inizio ci viene presentato Roy "Rocky" Dennis (interpretato da Eric Stoltz), adolescente californiano che vive una vita apparentemente normale in un quartiere della classe medio-bassa, va a scuola, colleziona figurine di baseball, ascolta rock'n'roll e sogna di fare un giro in moto in giro per l'Europa.

L'unica cosa che distingue Rocky dagli altri è il suo viso, grottescamente sfigurato dalla disfasia craniodiafisaria: una rara condizione genetica che fa accumulare calcio all’interno del suo cranio: diagnosticato nella prima infanzia, Rocky ha imparato a far fronte alla reazione delle altre persone al suo aspetto mostruoso e ha sfidato la previsione dei medici sul suo ritardo mentale, cecità e morte prematura.

Vive una vita normale nonostante sua madre Florence "Rusty" Dennis (interpretata da Cher) si abbandoni ad uno stile di vita che coinvolge alcol, droghe e promiscuità sessuale. Per fortuna, la maggior parte degli amici di Rusty appartiene alla banda di motociclisti che funge da famiglia allargata, incluso il fidanzato part-time di Rusty, Gar (interpretato da Stephen Elliott), che vorrebbe incarnare una figura paterna per il ragazzo.

Rocky prospera a scuola, ma il suo desiderio di una vita il più possibile condivisa con gli altri lo porta a accettare un lavoro estivo in un campo per bambini ciechi, dove incontra Diana Adams (interpretata da Laura Dern), una bellissima ragazza che lo accetta senza giudicarlo e, anzi, supera la deformità esteriore del suo volto Tra i due nasce una storia d’amore, ostacolata dai genitori della giovane, impauriti dalle possibili conseguenze, oltre che dal volto di Rocky.

La sceneggiatura è stata scritta da Anna Hamilton Phelan, ex attrice che aveva incontrato e stretto amicizia con Rocky e Rusty durante un ricovero all'ospedale della California. Nonostante l’impianto, a volte, televisivo, non cede al sentimentalismo palese e le poche libertà rispetto a quanto realmente accaduto: l'assenza del fratello di Rocky e lo spostamento della vicenda dal 1979 al 1985 non indeboliscono la forza del messaggio e sembrano naturali. Bogdanovich come regista fa un ottimo lavoro, principalmente nello stabilire un ritmo quasi perfetto, che consente al pubblico di essere adeguatamente introdotto ai personaggi e permette alla trama di svilupparsi in modo fluido. Usa anche un modo molto ingegnoso per segnare il passare del tempo – un elemento molto importante nella vicenda – attraverso il cane di Rocky che, da cucciolo, diventa un enorme cane. Michael Westmore e Zoltan Elek hanno svolto ottimo lavoro e hanno realizzato un trucco il più fedele possibile all'aspetto reale di Rocky.

Eric Stoltz, nonostante sia coperto da quel trucco per tutto il tempo, ci offre una interpretazione incredibilmente potente: il ritratto di un adolescente che ha preso la vita con allegra, rilassatezza e, in definitiva, nell’unico modo possibile, vivendo un giorno per volta.

Stoltz conquista il pubblico con la stessa facilità con cui conquista le persone intorno a lui e solo alla fine del film, quando il destino crudele cospira per distruggere i sogni del protagonista, l’attore ci mostra effettivamente il dolore e l‘angoscia di Rocky. Cher, famosa cantante al suo primo ruolo importante, ha vinto il premio come migliore attrice al Festival di Cannes per la sua interpretazione di una donna che ama incondizionatamente suo figlio e il pubblico femminile (madri comprese) possono identificarsi col suo personaggio proprio perché ha terribili difetti e compie gli evidenti errori di giudizio. è questo aspetto umano che abbraccia tutta la vicenda a costituire la qualità principale di quest’opera e, forse il regista non avrebbe mai concepito il film se non avesse avuto quel momento di crisi personale che lo ha, sicuramente, portato a mettersi in discussione.


UN ANGELO ALLA MIA TAVOLA di Jane Campion 1991

di Riccardo Bernini

I film biografici sono interessanti. Forse è perché sposano gli stili narrativi ed il racconto per immagini. Questo film è narrato da Kerry Fox, che interpreta l'autrice e poetessa neozelandese Janet Frame da adulta (altre due attrici interpretano Janet da bambina e da adolescente). La regista Jane Campion è magistrale nel fornire i piccoli dettagli che danno al film senso di realtà tangibile senza rimanere però bloccata dal punto di vista creativo. La regista racconta la storia di Janet in modo molto coerente, ma lo rende anche un racconto viscerale (nel senso più carnale ed anche, tal volta, fastidioso, del termine ma questo è da leggere con una connotazione positiva, che serve a capire come il film si confronti con la storia vera). Il film non segue pedissequamente i testi della Frame ma, in un certo senso, li arricchisce.

Janet Frame è riuscita a scrivere e pubblicare nonostante molti ostacoli. Era una persona confusa e socialmente invisibile. La Campion riesce a restituire questa sensazione per tutto il film facendoci vedere il mondo attraverso gli occhi della protagonista: lo spettatore si sente disorientato e sconcertato come lei.

A causa di un'errata diagnosi di schizofrenia, Janet è stata ricoverata in un ospedale psichiatrico dove ha subito circa duecento trattamenti di elettroshock. Le scene nell'ospedale sono dolorose da guardare, ma la Campion sceglie la strada della moderazione, condensando otto anni in circa otto minuti. Si ha la netta impressione che Janet sia sopravvissuta all'ospedale come è sopravvissuta alle difficoltà della vita in generale, rendendosi il più invisibile possibile. Non è un caso che, in seguito si sia appartata, evitando il contatto col pubblico.

Janet Frame ha mantenuto uno spirito giovane, quello di un bambino che non è mai realmente cresciuto e la sua forza è stata questa: il fatto di viaggiare in Europa, Inghilterra, per poi tornare in patria, forse per lei non è stato così centrale quanto viaggiare nella sua testa. Il punto nodale è proprio il punto di vista ed è questo che interessa la nostra regista. Il discorso si snoda sul filo del percorso di vita, la vita di qualcuno che, altrimenti, sarebbe dimenticato.

Ovviamente qualsiasi definizione limiterebbe il valore dell’opera d’arte. Qualcosa esiste e basta, si fonde col resto e non sempre può essere compreso, si accetta e basta. Im questo senso è quasi un film neorealista. Si tratta di un esempio di vita che vediamo affrontare il quotidiano, l’avventura più difficile che si possa narrare tendendo conto che è durissimo accettare le proprie parti piccole e scendere a patti col proprio sé. Ecco perché la poesia resta fondamentale nel lavoro per fare un’anima.


OASIS di Lee Chang-dong 2002

di Riccardo Bernini

Nel suo terzo lungometraggio Lee Chang-dong appalesa la sua estetica mistica e la mescola con il realismo di una abile critica sociale.

C'è molto di più nella trama di "Oasis" di Lee Chang-dong di quanto inizialmente non sembri. La prima ora del film scorre come un melodramma romantico che vede una relazione improbabile tra un ex detenuto Hong Jong-du (Sol Kyung-du) e Han Gong-du (Moon So-ri), che soffre di paralisi cerebrale. Successivamente la trama romantica si mescola con una focalizzazione più stratificata sulle questioni sociali e sulle tensioni all'interno delle famiglie di entrambi i protagonisti.

Incontriamo Jong-du solo un paio d'ore dopo il suo rilascio. È stato in carcere per essersi incolpato di aver ucciso un uomo guidando ubriaco (in realtà alla guida c’era il fratello).

Il suo ritorno non è gradito alla famiglia. La cognata gli dice senza mezzi termini che si sentiva più tranquilla sapendolo fuori dalla circolazione. Senza soldi in tasca, mancanza di comprensione per via delle regole sociali e poca voglia di lavorare, il nostro protagonista non soddisfa i requisiti del giovane maschio autosufficiente, indipendente ed attivo in una dinamica società sudcoreana.

Non è chiaro se sia stato condizionato dalle circostanze o, piuttosto, non sia disadattato proprio per sua stessa natura. Jong-du è il tipico piantagrane o un capro espiatorio sfruttato dagli altri membri della sua famiglia?

Il film di Lee si pone queste domande e giustappone l'arco narrativo dell'ex detenuto con quello del suo interesse amoroso, Gong-gu, tra l’altro, figlia dell'uomo che Jong-du ha ucciso – all'inizio, tenta addirittura di violentarla, ma presto si pente del suo gesto malsano e, cercato da lei, torna dalla giovane, che invece di sentirsi traumatizzata prova un certo appagamento per essere finalmente vista come una donna – : ciò che li unisce in questo legame – per alcuni improbabile, e per altri persino inquietante – è la posizione all'interno della società. Gong-gu è un'emarginata ed una presenza problematica nella famiglia di suo fratello. A causa del suo status di persona con disabilità motoria, richiede cure e attenzioni costanti. Il fratello di Gong-gu mpm se ne occupa e la affida ai suoi vicini per soli 20.000 won al mese (14,69€!!!!).

Il punto di forza di “Oasis” è il modo in cui il film riesce a intrecciare tante emozioni contrastanti, come simpatia e disgusto per il protagonista, in una trama esilissima.

Evita anche e per fortuna, le lacrime a buon mercato. Piuttosto, si concentra sulle disuguaglianze sociali ed economiche, ci offre una commovente critica alla logica neoliberista del "farai meglio a tenere il passo o sarai lasciato indietro" che motiva le azioni  di tutti gli altri intorno.

A parte la visione realista, cruda e cupa, Lee Chang-dong, come è tipico nella la sua opera, aggiunge elementi di un'estetica mistico-espressionista anche attraverso gli effetti visivi.

Magistralmente gli eventi reali si trasformano lentamente nelle fantasie dei personaggi e questo contribuisce ad uno sguardo più introspettivo in quella che è loro relazione.

La recitazione di Sol Kyung-du e Moon So-ri si rivela essenziale onde creare una tensione unica tra i due interpreti. Il contrasto tra i due modi di muoversi e relazionarsi al mondo fanno l’anima del film: lui, sempre in movimento, con una recitazione che va quasi a ruota libera; lei, di contro, resta immobile e gioca con le sensazioni, con l’invisibile, con ciò che si mostra ma non può essere detto.


 

 

 

 




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