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CINEFORUM MARZO 2024

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Schede film


GIORNO PER GIORNO, DISPERATAMENTE di Alfredo Giannetti  1961

di Riccardo Bernini

Giorno per giorno, disperatamente è il primo film diretto da Alfredo Giannetti, noto sceneggiatore di Pietro Germi, con cui vinse l’Oscar per Divorzio all’italiana. Il film, uscito nel 1961, è un dramma familiare che affronta il tema della malattia mentale e delle sue conseguenze sui rapporti tra i membri di una famiglia borghese di Roma.

Il film racconta la storia dei Dominici, una famiglia composta dal padre Pietro (Tino Carraro), sarto di professione, dalla madre Tilde (Madeleine Robinson), ossessionata dal figlio maggiore Dario (Tomas Milian), affetto da schizofrenia, e dal figlio minore Gabriele (Nino Castelnuovo), che cerca di emanciparsi dal clima opprimente della casa.

La madre vive per il figlio malato che era e resta il suo gioiello più prezioso, dotato di una intelligenza e sensibilità straordinarie. il film racconta questa simbiosi e ci porta anche alle sue conseguenze drammatiche.

Il film è uno dei primi tentativi di raccontare il dramma della malattia mentale e la realtà manicomiale che, tuttavia, risulta appena accennata ed anche in maniera piuttosto imprecisa. Quello che è importante invece è il dramma familiare, il rapporto del protagonista con la madre, i silenzi del padre o l'impotenza del fratello normodotato. Il film ha la colpa , ingenua del primo esperimento che risolve tutto in un colossale dramma senza appello dove non può esistere speranza ma è chiarissimo che il film denuncia i limiti coercitivi e delinquenziali del sistema manicomiale ma, al tempo stesso, anche l'impotenza della psichiatria.

Il film vuole essere un’opera di denuncia sociale, che mostra, ancora troppo velatamente ma, forse, per l'epoca, anche in maniera cruda, la dura realtà dei manicomi, dove i pazienti sono trattati con crudeltà e indifferenza, e la mancanza di sostegno e di comprensione per le famiglie dei malati.

Il film è anche un ritratto psicologico dei personaggi, che sono caratterizzati da una profonda solitudine e da una difficoltà a comunicare e a esprimere i propri sentimenti. Il film si avvale di una sceneggiatura ben costruita, di una regia sobria ed efficace, e di un cast di ottimi attori, tra cui spicca Tomas Milian, al suo debutto come protagonista, che interpreta con intensità e verità un giovane schizofrenico.

Giorno per giorno, disperatamente è un film che merita di essere riscoperto e rivalutato, in quanto rappresenta una testimonianza importante di un problema sociale, ancora attuale. La follia è ancora un marchio infamante che spinge a troppo facili sentimentalismi patetici o anche a considerazioni di tipo compassionevole che avviliscono il lato umano del malato


 

ENRICO IV, diretto da Marco Bellocchio 1984.

di Riccardo Bernini

Il film è una libera trasposizione dell’omonimo dramma teatrale di Luigi Pirandello, che racconta la storia di un uomo che, dopo una caduta da cavallo durante una mascherata, si convince di essere l’imperatore Enrico IV di Germania e si rinchiude in un castello con dei servi che lo assecondano. Vent’anni dopo, alcuni suoi vecchi amici, tra cui la donna che amava ed il suo rivale, lo vanno a trovare con uno psichiatra che vuole tentare di guarirlo.

Il film si presenta come un’opera complessa ed ambiziosa, che cerca di esplorare i temi della follia, dell’identità, della memoria, del potere, dell’amore e della morte.

Il regista si confronta con il testo di Pirandello, ma lo fa con una certa libertà, introducendo alcune modifiche e aggiunte rispetto all’originale. Il film non è una semplice trasposizione scenica, ma una rielaborazione personale ed originale, che cerca di cogliere lo spirito ed il senso del dramma, ma anche di attualizzarlo e di contestualizzarlo.

Nel ruolo del protagonista troviamo Marcello Mastroianni, che offre una delle sue migliori prove nel ruolo di Enrico IV.

L’attore riesce a rendere con intensità e credibilità il personaggio, che è al tempo stesso folle e lucido, vittima e carnefice, tragico e ironico. Prosegue, chiaramente il discorso sul problema del significato, legato all’etichetta “Follia”. Che senso ha parlare di follia se diventa qualcosa di generico che esclude le particolarità del singolo soggetto? Alla fine si tratta di questo e Bellocchio è mosso da questo.

Mastroianni è affiancato da Claudia Cardinale, che interpreta Matilde, la donna che Enrico ha sempre amato e che ora è invecchiata e delusa dalla vita. La Cardinale è bravissima a mostrare il contrasto tra la bellezza e la tristezza del suo personaggio, che è dilaniato tra il passato e il presente, tra il rimorso ed il desiderio.

Il film è realizzato con una notevole cura formale, che si manifesta nella scenografia, nella fotografia, nel montaggio e nella musica.

La scenografia, curata da Giancarlo Basili e Leonardo Scarpa, ricrea con fedeltà e ricchezza il castello di Enrico IV, con i suoi arredi, i suoi costumi, le armi e le opere d’arte.

La fotografia, opera di Giuseppe Lanci, gioca con i colori e le luci, creando atmosfere suggestive e contrastanti, che riflettono lo stato d’animo dei personaggi e le diverse epoche in cui si svolge la storia.

Il montaggio, a cura di Mirco Garrone, alterna con ritmo e fluidità le scene del presente e quelle del ricostruito passato, le sequenze realistiche e quelle oniriche, le immagini in movimento e quelle statiche. C’è, di fondo, una idea di fuga dal presente, quella dominante che caratterizza lo stato di una mente, la quale voglia proteggersi dal contesto di una realtà che ritiene ostile. Il gioco, alla fine è questo.

La musica, composta da Astor Piazzolla, accompagna il film con melodie malinconiche e appassionate, che sottolineano il tono drammatico e romantico della vicenda. Si tratta, alla fine di un film infuso nel dramma colossale dell'incapacità di vivere con sé stessi.

Si tratta di un film che sa trasporre con intelligenza e sensibilità un capolavoro della letteratura italiana, ma anche di un film che sa esprimere una visione personale e critica della realtà storica e sociale del suo tempo. C’è un ben preciso intento politico che muove Bellocchio, proprio in seno alla incapacità della cura psichiatrica o della psicoanalisi.

Il film è stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 1984, dove ha ricevuto una candidatura al Palma d’Oro.


TOLGO IL DISTURBO, diretto da Dino Risi 1990.

di Riccardo Bernini

Il film racconta la storia di Augusto Scribani, un ex direttore di banca che, dopo 18 anni di ricovero in una clinica psichiatrica, torna a vivere nella sua casa, ora abitata dalla nuora Carla, dal suo compagno Giorgio e dalle loro due figlie, Rosa e Debora.

Augusto si sente un estraneo in quella famiglia, dove l’unica persona che gli dimostra affetto è la piccola Rosa, figlia di suo figlio Eugenio, divorziato e assente. Tra nonno e nipote si crea un legame speciale, fatto di complicità e tenerezza, che li porterà a scappare insieme in un casale di campagna, lontano dai problemi e dalle incomprensioni.

Il film si presenta come una commedia amara, che mescola ironia e dramma, ed affronta temi quali la solitudine, la vecchiaia, la follia, la famiglia e la società.

Il regista Dino Risi, che ha una consuetudine con la commedia realistica, dirige con abilità e sensibilità attori che sanno perfettamente dove il cineasta vuole condurli: Vittorio Gassman, che interpreta con bravura e umanità il ruolo di Augusto, era lui stesso un depresso cronico, affetto da fe da fenomeni di bipolarismo, di conseguenza, è capace di suscitare simpatia, compassione, rispetto e ammirazione al tempo stesso.

Dominique Sanda è convincente nel ruolo di Carla, una donna che cerca di conciliare il suo amore per il nuovo compagno con il senso di colpa verso il suocero.

Maurizio Fardo è il compagno di Carla, un uomo pragmatico e razionale, che non riesce a capire il mondo di Augusto.

Valentina Holtkamp è la dolce e sensibile Rosa, la nipotina che rappresenta la speranza e la gioia di vivere per il nonno.

Elliott Gould è Alcide, un ex paziente della clinica, che diventa l’amico e il complice di Augusto.

Il film è ben scritto, con una sceneggiatura firmata da Enrico Oldoini, Dino Risi e Bernardino Zapponi, che riesce a creare situazioni divertenti e commoventi, senza cadere nel sentimentalismo o nella banalità. Anche per questo il film è una piccola gemma nascosta, proprio perché, non scivola mai in facili stereotipi inutili o banalizzanti, inquadra la realtà quotidiana di un uomo che vive, dopo anni, al di fuori di un contesto sociale che egli possa comprendere, il film ci mostra come il contesto clinico-psichiatrico, di fondo non curi ma, piuttosto, tenda ad alienare dal mondo.

Il film è anche ben fotografato, con una cura particolare per i colori e le luci, che creano contrasti tra gli ambienti urbani e quelli rurali, tra la realtà ed il sogno. Anche le musiche di Francis Lai giocano un ruolo fondamentale, rappresentano, attraverso le note, l’umore del film, sono come un carattere, un personaggio invisibile ma contante, nel tessuto del film.

Tolgo il disturbo è un film che merita di essere visto, sia come opera cinematografica sia come documento di un’epoca. Si tratta di un film che sa raccontare con intelligenza e sensibilità una storia di amore e di follia, di vita e di morte, di umorismo e di tragedia. Il senso, che riguarda tutta la proposta di questo ciclo di film, è quello di mostrare come la, cosiddetta, follia, rappresenti un dono grande e, quasi sempre, incomprensibile, che, tanto spesso, preferiamo nascondere o isolare, addirittura, facendo finta che non esista.

Il film è stato presentato in concorso al Festival di Cannes del 1990, dove ha ricevuto una candidatura al Palma d’Oro.


 

 


 




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