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CINEFORUM MARZO 2023

cineforum-marzo-2023

Schede film


ROULETTE CINESE  di Rainer Werner Fassbinder 1976

di Riccardo Bernini

Roulette cinese (Chinesisches Roulette) parla di una coppia di coniugi che si imbatte inaspettatamente nei rispettivi amanti nel contesto della villa di famiglia, da tempo, disertata da entrambi ma abitata da Angela, la loro figlia disabile, che i due hanno consciamente voluto mettere sotto il tappeto, come fosse polvere. Dopo aver scoperto che questo incontro fra amanti è stato proprio organizzato da Angela, guidata dalla rabbia: tutti si ritrovano presto coinvolti in un gioco terrificante.

Angela, sceglie l’anedonia come risposta alla sua disabilità che, altrimenti la porterebbe al suicidio in quanto ella si sente rifiutata da coloro che dovrebbero amarla o, quantomeno, accettarla.

Questo è un film molto oscuro. Racconta una storia complessa e cupa che si mescola ad un dramma astratto, a una fotografia inquietante ed a tutta una serie di interpretazioni davvero al limite, Roulette cinese è tutt'altro che un film semplice, anzi porta avanti una trama difficile che è tanto interessante quanto spesso, volutamente incoerente.

Cominciamo con l'unica cosa resta davvero centrale in questo film, ovvero la sua oscurità. Il regista Rainer Werner Fassbinder conferisce al film un'atmosfera incredibilmente cupa e questo rende la visione del film a tratti sgradevole: l’opera è strutturata come un dramma da camera che affronta ogni sorta di argomenti scomodi, il tutto ulteriormente accentuato dalle immagini volutamente tetre e scarne della scenografia, che rendono la l’esperienza estremamente snervante, proprio perché cominciamo a vedere il mondo con gli occhi della protagonista.

Si affrontano i rapporti interpersonali, l’incapacità di gestire gli affetti, il ruolo genitoriale, il tradimento, la colpa; il tutto contrappuntato da una serie di giochi e colpi di scena sempre più inquietanti che si sviluppano nel corso del film.

C'è sempre qualcosa in Roulette cinese che è messo lì per farci sentire davvero a disagio. Però Fassbinder lo fa in modo intelligente, mantenendo la tensione per tutto il tempo, fino a rendere la visione sorprendente e, come già detto, fortemente inquietante.

Soprattutto, però, il rapporto tra marito e moglie e la loro giovane figlia è la parte più profondamente disturbante del film. Mentre i due genitori hanno trascorso anni lontani con i rispettivi amanti, questa giovane ragazza è cresciuta amareggiata ed incattivita, solo per essere, ancora una volta, accolta dalla freddezza meschina dei suoi stessi genitori.

Ci sono molte cose di questo film che risultano davvero desolanti, ma l'odio vicereale che si appalesa tra la ragazza e i suoi genitori, in particolare tra Angela e la madre, spicca davvero come l'elemento più profondamente inquietante e sgradevole dell’opera, quasi come se la figlia disabile rappresenti una cosa orrenda da gettare via da sé.

Si tratta di un cupo psicodramma: anche le immagini e le interpretazioni contribuiscono a creare un'atmosfera deprimente e senza speranza.

Ambientato in una casa di campagna piuttosto vuota e spoglia, il film è caratterizzato da una inquietudine, anche morale, che lo rende davvero doloroso da guardare, mentre il ritmo lentissimo e la struttura spesso tortuosa aumentano il senso di spaesamento e il carattere insostenibile del tutto.

Tutti gli attori accentuano la natura quasi disumana dei loro personaggi. Il regista Rainer Werner Fassbinder amalgama brillantemente tutto questo dramma insostenibile ed insieme l'orrore psicologico: gli attori che emanano tutti la stessa vibrazione attraverso una varietà di stili interpretativi e questo approfondisce ulteriormente la pura desolazione lasciandoci un uno stato quasi di trance.


IL TAMBURO DI LATTA (1979) di Volker Schlöndorf 1979

di Riccardo Bernin

Il tamburo di latta (basato sul romanzo di Günter Grass) è un film notevole, è decisamente potente e, certo, rimane impresso nella memoria. Tuttavia, chiamarlo inquietante è solo grattare la superficie.

Il motivo per cui il film risulta efficacie risiede nel protagonista che è un bambino, anche se piuttosto strano. Oskar nasce nel mondo precedente alla Seconda Guerra Mondiale, completamente consapevole di sé e di ciò che lo circonda. All'età di tre anni conclude che gli adulti sono creature brutte e cattive e decide di smettere di crescere. A questo punto, il film sarebbe potuto essere uno sguardo interessante sull'ascesa della Germania nazista attraverso gli occhi di un bambino dotato delle capacità intellettive di un adulto, una combinazione di innocenza e saggezza. Tuttavia Oskar non è né saggio né innocente e la società che lo circonda, medici compresi, non riescono a comprendere ciò che ha arrestato il suo sviluppo, in questa incomprensione sta la chiave del film che è anche leggibile come una riflessione sulla indifferenza adulta rispetto alla diversità: il genitore che pensa al figlio disabile come un eterno bambino Tuttavia, il bambino cresce e, privato di una guida sviluppa una idea distorta di mondo.

Innanzitutto, il nazismo è trattato in modo periferico. (ma gli effetti della sua violenza e la distruzione lasciano solchi profondi nel protagonista) Il fulcro del film è il piccolo mondo in cui vive Oskar. Inoltre, Oskar è tutt'altro che innocente. Sebbene osservi che gli adulti sono cattivi e pietosi, lui stesso non è privo di difetti. Anche se all'esterno Oskar rimane un bambino, all'interno sviluppa tutte le astuzie di un adulto, è ingannevole e manipolatore. E, nonostante lo sviluppo psichico resta un polimorfo perverso. Ben presto, la malvagità che ha dentro fa impallidire quella degli adulti che lo circondano.

Non è mai chiaro se Oskar tenga a qualcun altro a parte a sé stesso. Sembra completamente ambivalente nei confronti di tutti coloro che lo circondano, concentrato esclusivamente su di sé. Guardando al passato, il film è quasi un'accusa a coloro che sono indifferenti di fronte all'ascesa del nazismo. Essi vedevano solo quanto di positivo, per così dire, portava con sé la conquista del potere da parte di Hitler: l'aumento dell'orgoglio nazionale, della forza militare e della prosperità. Tuttavia, sono restati beatamente e volutamente inconsapevoli della malvagità di fondo che avrebbe portato a una delle più grandi atrocità nella storia dell'umanità. Oskar sembra una metafora di tutto ciò. All'esterno è un ragazzino dolce e pieno di attenzioni e di amore. Dentro è ingannevole e connivente e finisce per distruggere le vite di coloro che lo circondano.

Al tempo della sua prima distribuzione il film è stato bollato come “pornografia infantile”. Ovvio che il termine va calato nell’epoca e non va inteso con la connotazione odierna. Tecnicamente non vi è nulla di pornografico, ma ci sono diverse allusioni sessuali nel film, molte delle quali coinvolgono Oskar.

Sebbene il corpo di Oskar non invecchi, la sua mente matura e alla fine raggiunge l'età adulta con tutte le sue voglie e i suoi desideri. Questi vengono a galla quando la bella Anna arriva per dare una mano dopo il suicidio della madre di Oskar. Tra Oskar e Anna inizia una relazione sessuale. Sebbene non vengano mostrate scene di carattere esplicito il senso di disagio resta.

L’individuo non è solamente un prodotto delle sue scelte ma anche del contesto sociale in cui cresce. Oskar è figlio dell’anedonia prodotta dal tramonto di tutti i valori, un figlio della morte di Dio.

Tutti e tre i film di questa rassegna raccontano individui la cui disabilità è stata esasperata delle condizioni sociali incontrovertibili che si sono trovati ad affrontare. La disabilità è anche un prodotto del mancato superamento dei limiti mentali e sociali imposti dalla storia scritta dagli uomini o dai vincitori.


MY SON, MY SON, WHAT HAVE YE DONE (2009) di Wener Herzo 2009

di Riccardo Bernini

Si tratta di un territorio consueto per Werner Herzog: un avvincente dramma a sfondo poliziesco e un intrigante studio antropologico.

Herzog ha affrontato spesso quelle realtà ai margini che confinano col disagio, la follia o il comportamento anti-sociale; tuttavia lo sguardo del regista non è mai stato quello del giudicatore, nelle sue opere il graffio dell’anima è osservato sempre con grande rispetto e senza pietismi di sorta.

Basato su una storia vera, il inizia con il ritrovamento dell'anziana signora McCullum (Grace Zabriskie), pugnalata a morte con una spada. Il detective Hank Havenhurst (Willem Dafoe, straordinariamente misurato nella sua interpretazione) scopre presto che il responsabile è il figlio attore Brad (Michael Shannon), che si è barricato nella casa di fronte. Probabilmente il killer ha con sé degli ostaggi.

Per comprendere meglio l’accaduto ed anche i moventi dell’assassino Havenhurst cerca di ricostruire gli eventi che hanno portato al crimine con l'aiuto della fidanzata di Brad, Ingrid (Chloë Sevigny), e del suo regista teatrale. Ben presto scopre che l’uomo è lentamente disceso nella follia entrando in un mondo apparentemente incomprensibile. Il film racconta appunto questa complessità ed indaga il concetto di colpa ed i suoi limiti dentro il contesto di una mente fragile che sovrappone la realtà alla finzione del palcoscenico.

Herzog torna ancora una volta ai temi che lo hanno guidato per tutta la sua carriera: l'ossessione e la follia. E, come sempre, il regista è meno interessato ad affrontare le cause si questa follia e più a come essa si manifesta in chi ne è preda. Come fu in Kaspar Hauser, al centro resta il protagonista con tutte le sue sfumature e se vi sono fattori esterni essi si mostrano ma non si cercano.

Herzog è ben servito da Michael Shannon, che offre una performance potente ed intensa nel ruolo del protagonista. Con più di un accenno a Klaus Kinski, la sua presenza cupa e la sua silenziosa minaccia pretendono attenzione. L’attore è abilmente affiancato da Grace Zabriskie, che interpreta la matriarca fragile e dominante con una calma glaciale.

Prodotto da David Lynch, My Son… si richiama certamente ad opere del produttore (in particolare una scena con un nano, che è sicuramente una citazione a Twin Peaks): questa è l'America dell'incubo secondo Werner Herzog. La follia è una cosa troppo grande per essere compresa (in effetti per i normodotati essa va chiusa a chiave, allontanata, dimenticata) in un mondo che viene presentato come ripetitivo, sgargiante e contraddittorio. Tuttavia, Herzog riesce a creare momenti di umorismo che bilanciano l'intensità che caratterizza tutto il film altrove.


 

 

 

 

 




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