MR. VENDETTA (SYMPATHY FOR MR. VENGEANCE) di Park Chan Wook 2002
di Riccardo Bernini
In parte, "Mr. Vendetta" è una storia di buone intenzioni andate male. Ryu (Ha-Kyun Shin) è un sordomuto che legge le labbra. Ha i capelli verdi e il viso innocente di un clown da cinema muto. Lavora presso la fabbrica locale e si prende cura della sua amata ma molto malata sorella (Ji-Eun Lim). Lei ha un disperato bisogno di un trapianto di rene, ma il dottore fa capire che ci sono poche speranze di ottenerne uno rapidamente. Quindi Ryu decide di prendere in mano la situazione. Si mette in contatto con alcuni trafficanti di organi i quali gli promettono che forniranno a sua sorella un rene che corrisponde al suo gruppo sanguigno. Ma fanno il doppio gioco.
La fidanzata di Ryu, Cha Yeong-mi (Du-na Bae), suggerisce un rapimento onde ottenere denaro per l'operazione di sua sorella. L’obbiettivo è la figlia di un ricco dirigente sperando che paghi in fretta e in silenzio. In ogni caso – a pagamento avvenuto – lasceranno andare la bambina. A Ryu non piace l'idea, ma la disperazione e la convincente argomentazione di Cha, secondo cui si tratta di uno schema infallibile, lo spingono ad agire. Inoltre, non dovranno essere cattivi con la bambina, possono semplicemente fingere di essere amici e farla giocare.
La loro vittima è Yu-sun (Bo-bae Han), la giovane figlia di Park Dong-jin (Kang-ho Song). Frattanto la sorella di Ryu scopre che Ryu ha perso il lavoro in fabbrica e le ha nascosto delle cose. La sua reazione innesca una serie di eventi tragici e provoca un complesso ciclo di vendetta che coinvolge quasi tutti ma non sempre nel modo in cui ci si aspetterebbe.
Si tratta di un cinema estremo ma le emozioni attentamente strutturate lo elevano al livello di una tragedia greca con una tristezza travolgente derivante dal fatto ironico che questi personaggi sono tutti motivati alla violenza da un amore compassionevole per qualcun altro – per questo nel titolo originale vi è la parola “pietà” –. Ryu ama sua sorella e farebbe di tutto per salvarle la vita; Park adora sua figlia e farebbe di tutto per punire i suoi rapitori; e Cha si preoccupa profondamente per Ryu e farebbe qualsiasi cosa per proteggerlo. Lo sceneggiatore e regista Park Chan Wook colloca quindi questi personaggi, animati da profonda devozione in un mondo violento e brutale.
"Mr. Vendetta" rappresenta il lavoro più maturo, controllato ed emotivamente coinvolgente di Park. Inizia lentamente, mescolando l’umorismo nero con una tensione sempre crescente. Il trucco di Park è che ci fa affezionare tutti i personaggi. Ma le nostre simpatie fanno il pendolo costantemente mentre i personaggi a cui ci affezioniamo si comportano in modi scioccanti. Non ci sono eroi e cattivi convenzionali qui ma solo esseri umani frustranti e complessi che sembrano vittime sia del destino che delle proprie follie.
Ogni scena, ogni fotogramma rivela un controllo ed una progettazione meticolosi. Ne risulta un’opera brillantemente concepita ed eseguita. La ripresa inizia nella stanza accanto all'appartamento di Ryu mentre quattro giovani uomini si masturbano ascoltando quelli che pensano siano i gemiti di una donna al culmine del piacere sessuale. Ma mentre la telecamera va dal loro appartamento fino a quello di Ryu, vediamo la sorella che si contorce sul pavimento in agonia e cerca disperatamente di attirare l'attenzione di suo fratello sordo che sta cenando tranquillamente, ignaro del suo dolore. In questa singola inquadratura, Park coniuga umorismo nero e triste ironia in una modalità, volutamente stridente in cui questi personaggi occupano tutti lo stesso spazio cinematografico ma non emotivo.
Il regista fa anche un lavoro straordinario nel mostrare come la sordità di Ryu lo isoli dal mondo. Park interrompe il suono in momenti inaspettati in modo da poterci far vivere il mondo come fa Ryu e farci capire quanto può essere tagliato fuori. Il silenzio, però, può anche essere confortante e una via di fuga. L'incapacità di Ryu di sentire provoca una tragedia e la sua incapacità di parlare lo rende una triste vittima silenziosa della vendetta. Park utilizza il suono in modo creativo anche nel mondo sonoro.
OCCHI NELLE TENEBRE (Blink) di Michael Apted 1993
di Riccardo Bernini
O cchi nelle tenebre (Blink) è scritto da Dana Stevens. Gli interpreti principali sono Madeleine Stowe, Aidan Quinn, James Remar, Paul Dillon, Peter Friedman, Bruce A. Young e Laurie Metcalfe. La musica coriginale è composta da Brad Fiedel e la fotografia è a cura di Dante Spinotti. La storia vede la Stowe nei panni di Emma Brody, che dopo essere stata cieca per 20 anni riceve un doppio trapianto di cornea che le consente di tornare, molto parzialmente, a vedere. Tuttavia, è soggetta a qualcosa noto come "visione retroattiva": questo significa che ciò che la sua vista offuscata percepisce viene registrato nel cervello ma riemerge, a tratti chiari, solo qualche tempo dopo. Questo rappresenta un problema, perché c’è stato un omicidio, commesso al piano di sopra, nel suo complesso di appartamenti e lei è l'unico testimone "oculare" che abbia visto l’assassino. Il film è concepito come un classico thriller che vede una donna, apparentemente fragile in un contesto di pericolo, a tratti non è dissimile da moltissimi altri titoli dello stesso genere che si vedono tanto spesso al cinema. Tuttavia, grazie ad alcune trovate tecniche ed una straordinaria interpretazione della Stowe, OCCHI NELLE TENEBRE risulta un buon film nel genere del giallo di indagine (anche se il contesto poliziesco è esilissimo). Il film risente anche della lieve venatura erotica a cui si è ricorso per inserirlo nello stesso filone dei film dell’epoca ma la Stowe riscatta il film con la sua solida caratterizzazione di Emma.
È interessante anche l’effetto visivo con cui vediamo il mondo quando siamo negli occhi della protagonista. La mancata messa a fuoco sfocata si fonde con una visione distorta e questo ci permette, almeno in parte di capire il processo di adattamento di Emma che, non essendo una cieca nata ha una idea del mondo esterno che, tuttavia, il cervello deve rielaborare consapevolmente e, oltre a questo, l’effetto speciale è usato per instillare un senso di inquietudine nello spettatore.
L’interesse del film non risiede certo nella trama. La cosa interessante è il rapporto di Emma con gli altri personaggi: all’inizio nessuno le crede perché osservano la cosa dal punto di vista dei normodotati, senza calarsi nel mondo della ragazza, la polizia non la ritiene una testimone attendibile ma si dovrè ricredere. Anche la storia tra lei ed il detective non è originale ma quello che conta è che lei non è una povera vittima in cerca di compassione, è audace, forte e determinata. Vive sola e fa tutto da sola, suona il violino in un gruppo rock celtico (i Drovers). La Stowe riesce davvero a fare i conti con il personaggio e convince pienamente. Quinn veste bene i panni del detective sarcastico, cinico ma non troppo.
Apted conduce benissimo la regia e la fotografia di Spinotti è ottima. L’impianto generale forse è un po’ debole ma per quanto concerne l’idea centrale del film, ovvero la visione retroattiva è sviluppata bene e permette al thriller, più che al giallo, di reggersi abbastanza bene.
IL GATTO A NOVE CODE di Dario Argento 1971
di Riccardo Bernini
“Il Gatto a nove code” è scritto e diretto da Dario Argento. Nel cast troviamo Karl Malden, James Franciscus, Catherine Spaak, Horst Frank, Aldo Reggiani, Carlo Alighiero e Rada Rassimov. La musica è di Ennio Morricone e la fotografia di Erico Menczer.
Viene considerato come il secondo capitolo di una ipotetica “trilogia deli animali” insieme a “L’uccello dalle piume di cristallo” (1970) e “Quattro mosche di velluto grigio” (1971).
Il cieco enigmista Franco Arno (Malden) e il giornalista Carlo Giordani (Franciscus) si uniscono per capire se riescono a risolvere il mistero degli omicidi che stanno terrorizzando la città. Il giallo di indagine qui risulta frammentato e inquinato da continue piste false: al centro l’Istituto Terzi che manipola modelli genetici. Come sempre in Argento il mistero ed il giallo sono in secondo piano rispetto a stile ed atmosfere. La trama è labirintica e ci troviamo dentro il medesimo dedalo che percorrono i due protagonisti. Il fascino prevale sul senso del rebus e Argento sfoggia, già al secondo film, quella perizia tecnica che contraddistinguerà i film successivi: le motivazioni e l’assassino emergono quasi alla fine e quasi per caso. Con Malden si adopera in una grande interpretazione e Franciscus che raggiunge un livello impensabile per un attore del suo calibro i personaggi riescono a dar vita alla trama quasi accessoria del film. La colonna sonora di Morricone è inquietante, punteggiata di free jazz, a sottolineare la natura sfuggente dell’animo umano. La fotografia di Menczer dal tono tenue fa da contrappunto ai temi che si alternano nella narrazione, caratterizzata da una sottile ironia, che fa dell’osservazione il primo motore dell’indagine: l’occhio metaforico dell’enigmista e gli occhi, veri e propri, del giornalista che guarda dove il cieco vede. Come detto ci sono un paio di colpi di scena in puro stile argentiano per scioccare lo spettatore e sorprenderlo, eventi fisicamente improbabili come nella scena finale. Tuttavia qui Argento si trattiene dagli eccessi che caratterizzeranno le sue prove successive. Questo non vuol dire che non ci sia il suo marchio di fabbrica: il primo piano dell'iride dell’assassino quale metafora del terzo occhio del protagonista non vedente il quale, nonostante il suo handicap, sente la presenza del colpevole e gioca un ruolo chiave nelle indagini rappresenta un espediente ingegnoso. Il disabile, con la sua intuizione, la logica ed il coraggio diventa un esempio non retorico in cui ci si può identificare.
Si tratta di un giallo che, tuttavia, non presenta una struttura classica, ha, indubbiamente delle punte di suspense ma questo deriva dalla costruzione delle singole scene più che dal film nel suo complesso. Nel precedente “L’uccello dalle piume di cristallo”, tutto l’insieme aveva una forza dirompente, data anche dalla compattezza di tutta la struttura narrativa e visiva. Questo rappresenta un passo più verso Alfred Hitchcock nel tentativo di sperimentare nella direzione di un thriller più realistico.
MONKEY SHINES - ESPERIMENTO NEL TERRORE di George A. Romero 1988
di Riccardo Bernini
Anche se questo probabilmente non sarà mai considerato uno dei migliori film di Romero, rappresenta comunque, per chi scrive una tappa importante nella sua carriera, nonché una delle rare collaborazioni con una major cinematografica: lo studio Orion.
Sceneggiato dallo stesso Romero, è basato su un romanzo di Michael Stewart e racconta la storia di Allan Mann (Jason Beghe), uno studente di giurisprudenza, il quale ha un terribile incidente che lo rende tetraplegico. Presto si lascia scoraggiare dalla sua condizione, al punto da tentare il suicidio, ma poco tempo dopo sembra arrivata la salvezza, rappresentata da Ella (Boo), una scimmia cappuccino addestrata a soddisfare i suoi bisogni. Quello che non sa è che il suo amico Geoffrey (John Pankow) sta conducendo una ricerca genetica ed ha iniettato all’animale cellule cerebrali umane. Presto il legame tra paziente e la sua aiutante diventa così forte che si stabilisce una connessione mentale tra i due ed Ella mette fisicamente in atto i peggiori impulsi di Allan. Quando Allan lo capisce dovrà agire di conseguenza, cercando di superare i suoi limiti. In sostanza un film sul valore della volontà individuale ma anche una denuncia, non velata, agli esperimenti indiscriminati sugli animali e l’idea che l’uomo non dovrebbe oltrepassare determinati confini. C’è anche la figura dello “scienziato pazzo” che ha la tentazione di sostituirsi a Dio, dovendone pagare poi le inevitabili conseguenze.
Romero fa un buon lavoro nel raccontare una storia abbastanza interessante, con incursioni nel body horror. I personaggi non sono troppo empatici: la maggior parte di loro è imperfetta in un modo o nell'altro, ad esempio il raccapricciante preside Burbage (Stephen Root), il medico viscido e incompetente Wiseman (Stanley Tucci), la fidanzata del bel tempo che fu Linda (Janine Turner) – che lascia il nostro Allan non appena finisce in sedia a rotelle - , l'infermiera maliziosa Maryanne (Christine Forrest, alias la signora Romero ) - e anche uno come l’amico Geoffrey, che inizialmente vuole solo aiutare ma ha i suoi problemi perché è ossessionato dal suo lavoro.
In tutto questo Allan trova un nuovo amore interpretato da Kate McNeil, che i fan dell'horror riconosceranno come la protagonista nello slasher " Non entrate in quel collegio" (1983). Il cast è abbastanza azzeccato nel complesso; Joyce Van Patten interpreta una madre stereotipata e soffocante con risultati convincenti e fa piacere vedere Root e Tucci all'inizio della loro carriera, tuttavia l'unico interprete che il pubblico probabilmente ricorderà è Boo, che è certamente adorabile e molto ben addestrato (è maschio anche se interpreta una scimmia femmina). La relazione, in evoluzione, tra Allan ed Ella crea un aggancio emotivo avvincente e fa apprezzare gli sforzi che le persone, nella vita reale, impiegano nell'addestrare gli animali che poi aiuteranno i disabili.
Il film non indugia troppo sulla corda dell’horror - la maggior parte della violenza è implicita - Romero tende a optare per un approccio più psicologico e si astiene da mostrare troppo il sangue. A mio giudizio un film importante nella filmografia del regista americano che rispecciha anche quelli che sono i suoi valori.