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CINEFORUM MARZO 2020

cineforum-marzo-2020

Schede film


TUTTO QUELLO CHE VUOI di Francesco Bruni 2017

di Riccardo Bernini

Cominciamo con una considerazione molto semplice: " Cosa significa ricordare? " . il ricordo o essere consapevoli del proprio passato è ciò che ci rende creature umane , cosa saremmo senza la nostra storia cosa saremmo senza le nostre esperienze . È questo ciò che racconta il film di Francesco Bruni. Nel film si incontrano due punti di vista e due vite completamente diverse : da una parte abbiamo un anziano poeta che vive la crisi dell'alzheimer (che ti priva, gradualmente della corazza protettiva delle tue memorie) unita al dramma di essere stato soldato, di aver perso i suoi amici in guerra si aggiunga la morte del suo grande amore. Finché i ricordi lo hanno assistito, si è lasciato salvare dalla poesia , quando si dice che un uomo è la somma dei suoi ricordi questo va inteso letteralmente in un senso che implica la perdita degli stessi come la perdita di se stesso e quindi da qui il tentativo di ritrovarli e trattenerli letteralmente " con le unghie e con i denti " .

Il coprotagonista di questa storia invece è un giovane romano che con gli amici vive nel ‘qui ed ora’ e non ha assolutamente una idea precisa del  suo domani, si aggiunga che ha anche un vivo conflitto col padre, tuttavia è un ragazzo capace di grandi sentimenti ma sembra non avere un progetto per la tua vita E potremmo dire che questo fatto rappresenti in un certo senso gli steccati che lui stesso si è imposto nella vita e che questo sia in fondo metaforicamente il suo handicap .

La trama in fondo si risolve in una caccia al tesoro che è anche una caccia verso se stessi e la propria motivazione, il ricordo, la storia, ciò che accade diventano il motore invisibile di tutta la vicenda che alterna i toni della commedia a quelli del dramma di tipo intimistico che vede nell'anziano non un freno sociale ma Indubbiamente una risorsa fatta di esperienze e vissuti che anche se frammentati restano validi per sempre poiché costituiscono l'insieme di una creatura umana.

La smarrita consapevolezza allora diventa il vero limite che imbriglia l'uomo impedendogli di fare le sue scelte libero ma allo stesso tempo attraverso questo limite dato dall'oblio si apre la possibilità che gli altri ci possono aiutare scoprendo come attraverso questo sono loro stessi a diventare umanamente più consapevoli essendo obbligati ad accettare le loro parti piccole e più fragili. i ragazzi di periferia finiscono con il consolidare la loro amicizia e il vecchio poeta traghetta il suo giovane amico verso il mare aperto della sua sensibilità quindi risulta vero il motto retorico secondo cui : "aiutando gli altri aiuto me stesso".

È assolutamente vero che di fondo la nostra anima deve essere pronta e prensile alla bontà , dobbiamo essere disposti a trovare nel fondo di noi stessi le motivazioni per cui Possiamo diventare persone migliori solo così l'incontro con qualsiasi disabilità puoi aiutarci aprendo la nostra mente. il film racconta questa storia , questa mutazione umana ed antropologica e lo fa senza retorica e senza il ricorso alla lacrima facile . in questo risiede forse il maggior pregio di un film che tutto sommato non può essere annoverato fra i capolavori della cinematografia contemporanea.

La nota interessante: la partecipazione del regista Giuliano Montaldo nei panni dello smemorato poeta.


DANCING WITH MARIA di Ivan Gergolet 2014

di Riccardo Bernini

Bisogna sempre chiedersi che cosa il cinema può fare per rappresentare la realtà, per metterla a nudo. Si può dire che il cinema abbia ancora un ruolo rispetto a questo? Si tratta di un quesito che rimane aperto, destinato a non trovare una risposta, perlomeno nel breve termine. Poi c'è un'altra domanda fondamentale da porsi che è quella rispetto a quali sono i limiti della rappresentazione cinematografica e soprattutto la rappresentazione, nella fattispecie, della disabilità, del limite. Vi sono limiti che il cinematografo ha rappresentato molto bene ma tanto spesso il fatto che sia, oggettivamente, una finzione naturale, narrativa, talvolta toglie di mezzo il vero contatto con il reale, trasformando il mondo della rappresentazione in qualcosa di parallelo che poco ha a che fare con ciò che si va vivendo.

 A questo punto il documentario diventa fondamentale per capire la dimensione di spazio vitale che il cinema riesce soltanto a simulare attraverso la narrazione: il documentario stabilisce un segmento narrativo in cui il regista od i registi divengono cronisti trasparenti e si annullano per far sì che ogni momento di verità non sia dissimulato dall'occhio che riprende o da qualcosa di artificiale che si frappone fra osservatore ed osservato. Ecco perché un film come questo è importante all'interno di una catena di coerenza che vuole raccontare come il corpo umano possa, certo, subire l'onta dell'imperfezione – anche se, già alla base, nasce imperfetto - ma possa trovare al di là id questo un riscatto quasi titanico e paradossalmente, almeno per chi ragiona attraverso stereotipi, la danza diventa il mezzo ed il fine attraverso cui il corpo si libera dalla gabbia imperfetta entro cui il destino lo rinchiude.

 Maria Fux libera i corpi dalla schiavitù della performance dimostrando che la danza è libertà, mostrandosi quale testimonianza vivente del movimento quale liberazione del corpo: il corpo, quindi, come linguaggio che supera gli steccati della convenzione semantica, il corpo che diventa segno testimoniale di ciò che si può fare, anche attraverso una barriera, che sembra insormontabile. Ecco che la storia della danzatrice Argentina diventa pietra di paragone rispetto a ciò che si può fare con la danza. Non esiste un ipotetico calendario che segni la parola ‘fine’: la tappa dell'età una fine solamente numerica; l'età, dice Maria, non conta nulla perché non rappresenta un discrimine così come non lo rappresenta la razza o il genere. La danza unisce tutti nel medesimo intento di creare una armonia di cuore mente ove cuore ha il significato di "centro delle cose": l'uomo non è dunque il suo corpo ma la sua anima.

Ci si ritrova in una unicità fisica che ci trattiene verso la terra ma è anche un qualcosa che consentirebbe, se usato bene, di volare oltre lo steccato creato dal senso comune, dalle convenzioni.

Il modo di dire secondo il quale ognuno di noi ha una certa disabilità qui trova la sua cristallizzazione poiché ogni corpo ha qualcosa che lo imbriglia, ciò dato dal proprio modo di vivere dal proprio modo di essere di chi quel corpo lo veste lo investe. Il film dimostra che chiunque è dotato di una sua particolare sensibilità per cui, una volta superata la barriera delle convenzioni, può trovare nel ballo una via attraverso la quale esprimersi e trovare se stesso o se stessa in un modo che resterà comunque imperfetto. Ma è proprio in questa imperfezione che risiede Il potere della vita e si può dire che noi veniamo all'esistenza proprio inscritti in questa imperfezione: ciò significa trovare, all'interno dei propri passi, uno stato di coscienza sempre più profondo è consapevole nel reale.


THE LADY IN THE VAN di Nicholas Hytner 2015

di Riccardo Bernini

Lo scrittore così come lo si considera comunemente è attanagliato da due problemi. Il blocco dello scrittore ed il rapporto con se stesso, che poi coincide con quello che è il rapporto con gli altri. Quanto di ciò che racconta questo film ha molto a che fare con quelli che si definiscono rapporti interpersonali. Bisogna dire che noi siamo esseri complessi e che vivere in comunità rappresenta, per i sensibili, un grande ostacolo. A volte, tale ostacolo, è rappresentato da noi medesimi che creiamo delle barriere onde proteggerci dagli altri.

Il problema dell'identità è una questione di processi del pensiero. Non esiste alcun tipo di scappatoia bisogna, accettare il proprio limite.

Generalmente ognuno di noi ragiona secondo un proprio principio di globalità: " Io sono normale, tutto ciò che non coincide con l'idea di me posso considerarlo fuori dalla norma un po' perché diverso , un po' perché non lo capisco". Tale principio equivale al vecchio adagio: "non lo capisco e non mi adeguo".

Sostanzialmente qualsiasi cosa sia contraria al mio senso comune fa a pezzi la mia identità. Ecco che, da qui, comincia a delinearsi un limite tra me e il mondo. Questo può essere classificato, tranquillamente, come un handicap che, però, può avere varie sfaccettature: edificare qualcosa che mi limita e che limita la mia capacità di vedere dentro le cose ed il mondo, al contrario, può essere qualcosa che mi rafforza e che rappresenta un vantaggio, esattamente quello che significa handicap, ad esempio, nel gioco del golf.

In questo caso abbiamo il racconto di due vite apparentemente molto diverse, direi quasi opposte, ma che trovano nell'incontro una sorta di completamento reciproco.

Il film prende le mosse da una storia realmente accaduta e per l'esattezza dalla vita dello scrittore e drammaturgo Alan Bennett: è proprio lui a fare i conti con se stesso, non trovando, di se stesso un senso vive come trincerato nel suo mondo psicologico e non riesce a fare un passo oltre lo steccato dei suoi limiti. Dall'altra parte abbiamo una donna poverissima che vive dentro un furgone e nonostante la sua condizione di vita, ha una personalità talmente forte ed una struttura psicologica, talmente innervata, da non lasciarsi soverchiare da questo stile di vita, anzi, questa forma di estrema indigenza diventa bohemien: sono gli altri a doversi adeguare ed ecco che da due microcosmi scaturisce un universo che consente allo scrittore ritrovare se stesso, alla donna di esprimere totalmente se stessa ed, ad entrambi, di essere amici ed accettarsi rispetto alla realtà che li circonda.


LE MELE DI ADAMO di Andreas Thomas Jensen 2005

di Riccardo Bernini

La domanda fondamentale e cosa può la Fede e cosa significa che essa può smuovere le montagne. Da questa domanda capitale si dipana tutto il senso de "Le mele di Adamo". Si tratta, certamente, di un film coraggiosissimo, specie se partiamo dal presupposto che è difficilissimo da comprendere rispetto a quella che è la nostra sensibilità in termini di credenza religiosa.

Partiamo dal presupposto che in Danimarca il film è considerato una commedia: nei termini letterali di " Commedia" si può intendere anche la commedia umana che muove i fili della vita e questa vita può essere anche imprevedibile, beffarda, strana.

Proviamo a partire proprio dalla sua imprevedibilità: se siamo animati dalla forza di una vera fede, mentre tutto intorno a noi può mutare cambiando anche i termini del destino, da qui siamo mossi o da cui ci lasciamo muovere, una tale fede resta in noi, incrollabile, anche quando ci sembra che una qualche forza ci stia sottraendo tutto, come in una sorta di infinito gioco di pazienza, che ci rende simili a Giobbe.

Quando si dice “la pazienza di Giobbe” si intende proprio la capacità endemica di sopportare le privazioni che la vita ci impone senza, per questo, avanzare la minima critica.

Il film di Jensen ci fa riflettere appunto su due condizioni diverse, due modi diversi di affrontare queste condizioni – o anche contraddizioni – di vita e nella diversità sta l'incontro: il film scrive e descrive un paradosso molto interessante perché, a conti fatti confronta due opposte fedi.

Adam ed Ivan sono specchi opposti che si affacciano verso il rispettivo abisso. Adam, che ironia della sorte, ha il nome del primo uomo è accecato da una adesione incrollabile al neonazismo e sembra non vedere altro che il male ed è mosso dal desiderio insopprimibile di portare, nel cuore degli altri, sofferenza e sconforto perché gli sembra che questo lo faccia stare bene, non si rende conto che si tratta soltanto di uno scudo che lo protegge dai sentimenti che abitano il suo animo.

Dall'altra parte abbiamo Ivan un prete che aiuta gli ultimi, prendendoli emotivamente a pugni, attraverso quelli che sono i loro limiti i loro difetti e le loro parti più piccole. Nulla neanche il più inguaribile dei mali od un figlio gravemente disabile lo distolgono dall'idea che queste sono le prove di Dio e rappresentano uno stimolo ad innalzare il proprio spirito verso uno spirito più elevato: più grande è la prova maggiore sarà la fede che occorrerà a superare tale prova.

Il film si muove entro questo microcosmo in uno scambio tra Adam ed Ivan che finirà col mettere alla prova entrambi, alla scoperta di se stessi con la diretta conseguenza che chi vive a contatto con loro troverà, a sua volta, se stesso e sarà spinto seguire la propria indole. Quello che era costruito per sembrare un dramma, senza speranze, trova nel miracolo dell'amicizia la sua ragion d'essere.


 

 

 

 




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