SULLE MIE LABBRA (Sur mes lèvres) diretto da Jacques Audiard 2001
di Riccardo Bernini
Una regia frenetica, effetti sonori che ti aggrediscono e una colonna sonora calibrata al millimetro; Il nostro regista ci inganna e trascende il genere, usa le corde del poliziesco! Ma "Sur Mes Lèvres" è molto più di un semplice film di genere: ha solamente i tratti del thriller, la sua tensione è completamente diversa.
Tutto si caratterizza nella solita eleganza selvaggia a cui Jaques Audiard ci ha abituati. esiste una violenza nel mondo a cui non possiamo sottrarci, tutto e sul filo del quasi umano. esiste una dimensione ferina di cui siamo vittime ma siamo anche, ad un tempo, predatori. I personaggi sono Carla (Emmanuelle Devos), non udente, che conduce una vita molto banale e non ha alcuna soddisfazione - inoltre è anche trattata, con sufficienza, dai colleghi -. La vita della ragazza cambia quando nella sua vita entra Paul, un ex detenuto. I due decidono di aiutarsi a vicenda.
Da qui la trama thriller prende il suo avvio ma, solo per fare spazio al dramma, i protagonisti, toccati dalle vicende che, dal reale precipitano, sono mutati per sempre e devono ridiscutersi, anche rispetto al vivere la vita.
Si tratta dell'incontro di due mondi, inizialmente diversi, che si incontrano a metà strada. Il film mostra le rovine del cammino ma anche i suoi doni.
Per i due non esistono mezze misure: sonno ciò che vogliono e, anche nell'eccesso dell'errore assurdo cercano di ottenerlo, con la convinzione che non ci si può arrendere.
Questa forma di dialettica estrema annulla le differenze e, allo stesso tempo le esalta. Paul può sembrare un po' rude e maleducato, ma cerca di fare del bene a modo suo. Il volto di Paul è quello dell'angelo tragico del cinema francese: Vincent Cassel che si trova benissimo nel ruolo ed è strumento perfetto nelle mani del regista.
Carla è rappresentata come una donna passiva, una casalinga introversa. Si direbbe che si tratta di una persona debole ma, nei momenti fondamentali, nessuno può calpestarla.
La recitazione e le dinamiche fra i due personaggi sono completamente e sempre sopra le righe ed è forse questo a rendere tutto molto intenso ed attraente.
Sempre e comunque tenero e violento: Jaques Audiard descrive la vita come un eterno scontro tra spiriti che la vita a scheggiato. in questo senso il suo film rientra a pieno diritto in un discorso che vuole sensibilizzare e rendere più consapevoli in un mondo che non vede più dentro la differenza ma, ormai, parifica tutto.
il cineasta francese vuole, al contrario, mettere in evidenza che la diversità esiste e si mostra, non c'è altro, ogni tentativo di limitare, recintare, nascondere è destinato al fallimento epocale. Allora, tanto vale lottare, rischiando di fallire avendo però la certezza di non aver lasciato nulla di intentato.
LO SCAFANDRO E LA FARFALLA (2007) di Julian Schnabel 2007
di Riccardo Bernini
Julian Schnabel parte dell'autobiografia di Jean-Dominique Bauby. Il film descrive la tragica storia di Bauby che si è svegliato dal coma per scoprire che, dopo aver avuto un ictus, è completamente paralizzato, ad eccezione della vista ma solamente dell'occhio sinistro. Bauby impara a comunicare sbattendo le palpebre e alla fine scrive le sue memorie nell'arco di dieci mesi con l'aiuto di un assistente.
Trattandosi di Schnabel, tutto colpisce in maniera forte e significativa, lasciando nello spettatore un senso di fascinazione e di stordimento estetico che vuole essere un passo di empatia da sguardo a sguardo tra l'osservatore e l'osservato.
Il ruolo della musica è centrale, diventando quasi poesia visiva - non dimentichiamo che il regista è un pittore e, più compiutamente, un'artista.
In effetti, buona parte del film, è girato assecondando la prospettiva di Bauby e la realtà è filtrata attraverso il suo unico occhio.
Fotografo, ed uomo sensibilissimo anche il nostro protagonista (direttore della rivista ELLE): la scelta del regista non arriva a caso, egli sente una vicinanza con Jean-Dominique Bauby, se non altro di intenti.
La sensazione di essere intrappolato nel proprio corpo è comunicata in modo molto efficace attraverso un gioco di equilibrio tra fotografia e regia, così come la sua fuga dentro pensieri e ricordi che gli danno una ragione per continuare a vivere.
Ma tutto questo apparirebbe retorico se il fine del regista non fosse, di fondo, quello di domandarsi se sia possibile trasformare la realtà che ci circonda, anche da paralizzati, ci sono ancora motivi per l'artista? La sua azione sul reale è ancora potente, decisiva o il torpore della paralisi fisica finisce col divorare tutto, chiudendo ogni via verso la rivoluzione di cui l'artista deve essere portatore?
Questo film vuole farci vivere la vita del direttore della rivista francese Elle, Jean-Dominique Bauby (Mathieu Amalric) Il film è tratto, appunto, dalla sua autobiografia. Noi siamo parte stessa della sindrome del chiavistello. Sentiamo quello che sente il protagonista, senza pietà.
Le macchine entrano nella danza delle immagini ed hanno un ruolo fugace, come e dire che la scienza medica è incapace di comprendere una alfabetizzazione diversa. Un montaggio che mette in luce l'immensa complessità del corpo umano. Mostrandoci ciò che possiamo vedere e sapere ma anche che questo non basta: l'entusiasmo anafettivo della scienza non ripaga del dolore, essere una perla rara, un esemplare sotto il microscopio non serve a nulla se manca il nucleo caldo degli affetti. Il film si configura come un tentativo disperato di comunicazione nel silenzio devastante di una società, solo in apparenza, inclusiva ma, in vero, molto concentrata sulla esaltazione del corpo, sempre più bello, sempre più, attraverso la tecnica, immortale. Per nostra fortuna il corpo può ancora ferirsi, invecchiare e morire. Finché ci saranno vita e morte ci sarà ancora speranza per l'umanità.
PAULINE e PAULETTE, di Lieven Debrauwer 2002
di Riccardo Bernini
Il film ha un tono delicatissimo, tutto giocato sul contrasto tra visioni del mondo: il film, in effetti, stavolta è breve ma, assolutamente, intenso. ci mette di fronte ad una realtà difficile da accettare, certamente, ma estremamente concreta: il tono, quasi sussurrato del film ci sbatte, letteralmente, in faccia la consapevolezza che, quasi sempre, siamo mediocri. Il nostro mondo ed il nostro tempo - per noi così decisivi - sono piccoli e futili, per questo li poniamo più in alto di quanto dovremmo.
Pauline ha una disabilità cognitiva, vive una vita semplice e piuttosto felice con la sorella maggiore Martha, che si prende cura di lei da quando i loro genitori sono morti. È un rapporto di assistenza costante, molto asimmetrico, Pauline è considerata una bambina, nonostante i suoi 66 anni. Martha muore improvvisamente e le due sorelle più piccole devono pensare a come affrontare la nuova situazione. La "soluzione facile", mandare Pauline in un istituto, diventa impraticabile a causa della clausola del testamento di Martha, il suo patrimonio sarà diviso in tre parti uguali solo se una delle sorelle si prenderà cura di Pauline. Pauline ama immensamente sua sorella Paulette, il suo negozio e tutte le cose dai colori vivaci che contiene. Paulette ha modi rudi, ha una vita propria, il negozio, l'Operetta. Vorrebbe dare alla sorella, rimasta piccola, la possibilità di diventare grande ma non ha la pazienza di stare ai passi con il mondo di Pauline. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un problema di linguaggio, inteso nel senso di uno stile di vita, di principi inconciliabili che si scontrano: la difficoltà di vivere con il diverso, il divergente, con i suoi riti; qualcosa di imprevedibile ma, allo stesso tempo, così sistematico da risultare indecidibile al normodotato. In effetti anche l'altra sorella, che ha una relazione con un uomo "molto elegante", troppo elegante, non ha spazio per Pauline. L'egoismo della vita di relazione prevede uno spazio ristretto dove non esiste alcuno spiraglio per la luce della comprensione: il mondo va troppo veloce e tutti hanno troppo da fare. Allora ecco che "la soluzione facile" sembra, ora, la sola praticabile. Il problema viene scansato, tuttavia, questa scelta ti scava dentro emotivamente, porta a nuove decisioni, a nuove vite...